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Oggi vi prononiamo un articolo realizzato dal nostro utente Dirk the Daring. Si tratta di una serie di consigli per tutti coloro che si cimentano nel ruolo del master (o del narratore, del custode, dell’arbitro, comunque vi piaccia chiamarlo). Enjoy:

Creando avventure in continuazione, variando le ambientazioni o i giocatori può capitare che qualche volta si abbia un po’ di difficoltà a creare una buona avventura, che sia tanto coinvolgente per i giocatori che per il Master. Questo è un problema annoso che ha affligge non solo i Master nel gioco di Ruolo ma anche i cantastorie dell’antichità, gli sceneggiatori contemporanei e chiunque abbia la necessità di inventare storie per mestiere o hobby. Fortunatamente come per tutte le arti esistono svariate tecniche che possono venire in aiuto alla semplice immaginazione, nel campo del narrare storie la tecnica in questione si chiama “storytelling” ed è un argomento tanto semplice da spiegare quanto difficile da padroneggiare.

Storytelling: ovvero cos’è una storia?

Una storia è semplicemente un conflitto, uno scontro che vede da un lato il “protagonista” e dall’altro “l’antagonista”, che può anche non essere una persona fisica ma un problema interiore, un concetto o persino l’ambientazione nella quale il personaggio si muove, niente di più. Una “buona” storia però è molto di più, è il racconto di uno scontro che nasconde al suo interno un’idea, uno spunto di riflessione, qualcosa che accompagni la narrazione anche dopo che questa è finita; parafrasando Calvino: “Un buon libro è quello che continua anche dopo che lo hai chiuso”.

Per rendere più agevole la narrazione di una storia ci sono alcuni trucchi che possono risultare utili, il primo dei quali è quello di conoscere le “figure” della narrazione, i suoi elementi principali:

– Il protagonista: l’eroe che affronterà la storia, in genere è la personificazione dell’ascoltatore, l’avatar, il mezzo con il quale chi racconta la storia riuscirà a coinvolgere la sua platea.

– L’antefatto: è la storia dell’eroe, quello che lo ha reso ciò che è, il suo bagaglio di conoscenze ed abilità, Il suo passato che lo rende unico ed inimitabile.

– La ricompensa: l’obbiettivo dell’eroe, la meta finale che lo ripagherà di tutti i suoi sforzi. Nota che l’obbiettivo non deve per forza essere universale ed imponente (come essere il prescelto destinato a salvare il Mondo) in realtà la ricompensa è molto legata all’antefatto dell’eroe; per raccontare una buona storia basta che questa sia importante per lui.

– L’avversario: tutto quello che si pone tra l’eroe e il suo scopo, anche in questo caso non è necessario che l’avversario sia un personaggio fisico o addirittura assoluto, come “il male”, ma anzi l’avversario, come la ricompensa, è legata all’antefatto dell’eroe; perciò utilizzare un avversario specifico, intimamente legato all’eroe, rende la trama molto più emozionante e coinvolgente.

– L’arma: il potere dell’eroe, il mezzo con il quale può sconfiggere l’avversario e reclamare la ricompensa; che siano le sue abilità naturali, un’arma magica o misteriosi poteri, sarà solo sfruttando al limite queste sue capacità che l’eroe riuscirà a vincere.

Queste ovviamente sono solo le nozioni generiche sullo storytelling, lo “scheletro” sul quale poggiano tutte le storie. Scendendo più nei dettagli le cose sono un filo più complicate e molto più interessanti ; per fortuna ci sono studi estesi e specifici su questo argomento, i più importanti dei quali sono quelli di Joseph Campbell prima e Christopher Vogler poi.

La storia del narrare storie

Joseph Campbell

Joseph Campbell era uno psicologo americano nato nei primi del ‘900 che impostò i suoi studi sulla comparazione dei miti e delle leggende, cercando di trovare un “filo comune” che unisse tutta la mitologia (e le religioni) della cultura umana. Il suo studio sfociò nel 1949 in uno dei libri più importanti nel campo dello storytelling: “l’eroe dai mille volti” (The hero with a thousand faces). Il libro analizza e scompone i miti in una serie di passaggi: il “Monomito” una struttura essenziale alla base di tutte le storie; secondo Campbell questo si articola in un percorso narrativo composto di sedici passaggi: un viaggio fisico (e spirituale) che il protagonista compie per risolvere la situazione e tornare cambiato, migliorato dall’esperienza. La struttura del “viaggio dell’eroe epico” è alla base di tutte le storie: dall’Iliade a Cappuccetto Rosso, dai Vangeli ai miti aborigeni. Il suo studio, fondamentale nell’analisi sociologica del racconto, venne scoperto negli anni ’70 da un regista quasi esordiente che stava lavorando su una storia di fantascienza. Il regista altri non era che george Lucas e il risultato della loro collaborazione si concetizzo in una certa opera di fantascenza conosciuta come “Guerre Stellari”.

Christopher Vogler

Christopher Vogler è uno sceneggiatore americano che, scoperti gli studi di Campbell, decise di adattarli per renderli più accessibili da Hollywood: semplificò ulteriormente i passaggi di Campbell, li ripulì da alcune considerazioni psicologiche e, nel 1993 pubblicò ”Il viaggio dell’eroe” (The Writer’s Journey: Mythic Structure For Writers) dove proponeva un nuovo percorso narrativo composto questa volta da soli dodici passaggi:

– Mondo ordinario: L’eroe lascia un mondo per cominciare un viaggio, ed entra in un altro mondo.

– Richiamo all’avventura: La sfida, si stabilisce l’obiettivo e il percorso da farsi. Entra in gioco il messaggero.

– Rifiuto del richiamo: L’Eroe è riluttante, dice no, evita un evento.

– Incontro col Mentore: Quello di cui ha bisogno l’eroe per mettersi in viaggio.

– Varco della prima soglia: L’eroe accetta la sfida. (Fine primo atto).

– Prove, nemici, alleati

– Avvicinamento alla caverna più recondita (seconda soglia)

– Prova centrale: In genere c’è un rovescio di fortuna, temporaneo, che mette suspence.

– Ricompensa: L’eroe, sopravvissuto, “festeggia” (anche per l’aver imparato qualcosa). (Fine secondo atto).

– Via del ritorno: Bisogno del ritorno, ma trasformato.

– Resurrezione (terza soglia-climax): Non è la prova più grande, ma la definitiva.

– Ritorno con l’elisir: L’eroe torna rinato, definitivamente cambiato, e porta con sé l’esperienza raggiunta. (Fine terzo atto).

Oltre a ciò Vogler esplicò i 7 personaggi chiave della storia ed approfondì altri elementi,(come per Campbell il miglior consiglio è quello di leggersi i suoi libri) tanto che, ad oggi, la maggior parte delle sceneggiature Hollywoodiane seguono quella che è chiamata la “Struttura a Doppia V”, nient’altro che il nome comune del Viaggio dell’eore epico di Campbell.

Ovviamente questi non sono gli unici studi sulla struttura della narrazione ma tutti quanti partono da questi due autori, i cui lavori costituiscono le fondamenta necessarie per affrontare concetti più complessi.

Storytelling e Gioco di Ruolo

Ora che è un po’ più chiaro come funziona una storia si può cominciare ad utilizzare tutto questo bagaglio per rendere le storie più avvincenti ed emozionanti. La particolarità meravigliosa dei gioco di Ruolo è che le storie non sono decise a priori, ma sono uno sforzo collettivo di Master e Giocatori che contribuiscono ognuno con le proprie esperienze, aspettative e desideri. Per far si che tutto funzioni al meglio però è necessaria una buona preparazione ed un filo di adattabilità, ma conoscere qualche trucco “professionale” di storytelling torna sempre utile.

Pensare al personaggio prima che alla storia

Dato che i personaggi sono i protagonisti indiscussi di tutta l’avventura meglio partire dalla loro creazione. Il segreto per creare personaggi interessanti e motivati è solo quello di munirli fin dalla creazione di un forte motivo di conflitto: non serve che si tratti di qualcosa di così grandioso da caratterizzare tutta l’avventura, ma deve essere comunque qualcosa di davvero importante per il personaggio. Come già detto meglio puntare su un conflitto personale e magari arricchirlo con qualche dose di segreto: questo lo renderà privato, importante ed inconfessabile, una sorta di “tesoro segreto” che fornirà al giocatore sia il suo obbiettivo sia un valido stimolo per andare avanti nell’avventura. Tutto ciò è utile non solo per creare una buona storia, ma anche perché fornisce al Master una “leva” in grado di dirottare il personaggio (e quindi anche il giocatore) dove riterrà più opportuno: basterà fornire l’idea di potersi avvicinare alla ricompensa finale che il giocatore automaticamente sceglierà di seguire quella strada. In alcuni casi i giocatori crederanno di “scompaginare” l’avventura seguendo i propri scopi solo per ritrovarsi esattamente dove il Master si aspetta: una piccola truffa nella quale tutti vincono.

Ovviamente per far funzionare il tutto è necessario che oltre alle ricompense in termini fisici (esperienza ed oggetti) il giocatore abbia anche ricompense nella forma di avanzamenti nella sua storia: informazioni, sviluppi, colpi di scena… E qui cominciano i primi grattacapi. Infatti per mantenere alta l’attenzione ed il coinvolgimento, questi “premi di trama” non dovranno rivelarsi “deboli”, o peggio ancora, “falsi”: il Visir malvagio non può fuggire ad ogni incontro o ritornare inesorabilmente ogni volta: prima o poi dovrà morire o redimersi; introducendo magari un pericolo ancora più grande che in realtà è sempre stato il colpevole fin dalla definizione del conflitto nell’antefatto del giocatore. Portare avanti questo sistema di rivelazioni e colpi di scena, sebbene sia il pane quotidiano di ogni storia, può diventare un po’ difficile quando si parla di GdR: questo perché il giocatore è parte attiva della narrazione e giustamente vorrà vedere soddisfatti anche i suoi desideri ed aspettative. Continuare a ritardare il “premio” può rendergli l’esperienza noiosa o addirittura frustrante, invece liquidarla dopo le prime sessioni lascerebbe il personaggio senza uno scopo chiaro. In questo caso meglio utilizzare il trucco alla base di tutte le serie TV: concedere il premio, una breve pausa di festeggiamenti e poi “elevare” qualche minaccia secondaria a vero e proprio conflitto, sempre legandolo però all’antefatto del personaggio. (Es. Il nobile cavaliere che il Visir aveva scacciato privandolo del suo regno, riesce a sconfiggere la sua nemesi e a riottenere ciò che è suo; tutti i danni provocati per la strada però hanno messo sul piede di guerra i regnanti vicini che quindi dichiarano guerra al nuovo sovrano approfittando della debolezza del suo neonato regno) il conflitto iniziale deve rimanere ancora quello portante, possono però variare gli obbiettivi, gli antagonisti e/o le armi.

Pensare al gruppo prima che al singolo

Ora che ogni personaggio ha il proprio antefatto, il proprio conflitto e i propri avversari si presenta un altro problema spinoso tipico del GdR: il riuscire a mantenere unito il gruppo. Scopi molto diversi infatti potrebbero portare a personaggi che si posso ignorare tra di loro o addirittura intralciare a vicenda: sebbene questa potrebbe sembrare una buona idea (tutte le narrazioni funzionano così: protagonista, personaggi secondari ed antagonista hanno ognuno la propria storia e il conflitto nasce proprio dalla loro divergenza di obbiettivi) in realtà non è molto consigliabile applicarla proprio per via delle caratteristiche uniche del gioco di ruolo. Potrebbe sembrare una buona idea scartare a priori il concetto di party: questo sistema però ha una serie di svantaggi tipici di metagioco (il ritmo e l’attenzione si disperdono nelle varie sessioni separate ed il Master deve faticare molto di più portando avanti una narrazione separata per ogni giocatore) molto meglio allora puntare sul classico concetto di “party” ma come fare ad unificare tutti senza che sia vista come una forzatura?

Lo storytelling ha la sua formula: il “messaggero” nella cultura classica (o “pinza” nella sceneggiatura hollywoodiana) è l’elemento scatenante, il quid che dà l’inizio a tutta l’avventura. Il classico “compito iniziale” affidato al gruppo; per renderlo però un po’ più interessante ci sono una serie di trucchi da applicare ed Hollywood insegna: la pinza deve essere veloce, brutale e totalizzante, tanto da non far capire al personaggio cosa l’ha colpito. L’eroe (o gli eroi in questo caso) non vanno alla ricerca dell’avventura ma è l’avventura che trova loro: il loro villaggio viene attaccato, si ritrovano sul fronte di una grande guerra, vengono catturati e deportati come schiavi; deve essere qualcosa che spinge subito gli eroi a combattere per la loro vita senza troppo pensare al resto; per conoscersi meglio ed intrecciare la propria storia ci sarà tempo quando la polvere si sarà posata e il party si sarà ormai cementato affrontando insieme i primi nemici.

Dirk the Daring


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