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Eccomi qui a sostituire per un paio di settimane il nostro caro GarethDrake sempre super impegnato, ma non temete tornerà presto a farvi compagnia.
Oggi volevo affrontare con voi un tema sicuramente “caldo” di questi mesi, come avete già capito dal titolo, sto parlando di Hunger Games  la trilogia Suzanne Collins che è diventata un vero e proprio caso letterario in America e ora anche cinematografico grazie alla fortunatissima prima pellicola tratta dalla serie uscita qualche giorno fa anche in Italia.

Per i pochissimi tra di voi che ancora non ne avessero sentito parlare, Hunger Games è un romanzo che ci presenta una distopia in un futuro forse non troppo lontano in cui il Nord America ha creato una società divisa in distretti produttivi isolati e controllati da una unica entità centrale: Capitol City. Nei distretti la vita è al limite della sopravvivenza nei più poveri, e comunque non troppo agevole anche nei più ricchi, mentre Capitol City è popolata dalla “classe dirigente” fatta da persone dedite ai piaceri, alla ricerca estetica estrema che vive nel lusso e nelle comodità fornite da scienza e tecnologia avanzate. Il controllo sui distretti viene mantenuto attraverso una specie di dittatura televisiva mediatica, i 12 distretti devono fornire ogni anno, infatti, un giovane ragazzo e una giovane ragazza come “tributi” che vengono fatti scontrare tra loro in una specie di Reality Show televisivo fino a che non ne sopravvive solamente uno.

Gli spunti presenti nell’opera sono sicuramente molti, le affinità, ovviamente portate agli estremi, con la nostra società moderna, sono oltremodo evidenti.
La serie si compone di tre romanzi il cui ultimo capitolo “Il canto della rivolta” verrà pubblicato la prossima settimana in italiano da Mondadori. La scrittura sembra quella tipica dei romanzi per “giovani adulti”, e all’interno vi si trova anche un po’ di “romance” con un triangolo amoroso interessante che tuttavia non è sicuramente centrale nella storia, e, a differenza del “romance” classico non è “lo scopo” della costruzione narrativa, ma anzi è solo un ulteriore elemento della narrazione che serve a dare ancora maggiore enfasi alla storia che la Collins vuole narrare. Anche le scene proposte nel romanzo sono decisamente crude, il “gioco” in cui i “tributi” si troveranno invischiati è decisamente crudo e spietato e le scene “forti” non mancano, tanto che, sebbene la scrittura lo faccia apparire inizialmente come un libro per giovani ragazzi, alla Harry Potter… i contenuti proposti appaiono poi decisamente non troppo in linea con questo genere di pubblico.

Se fosse stato scritto con uno “stile” narrativo differente, forse oggi parleremmo di un ottimo romanzo di genere, la scelta di seguire una struttura narrativa più sul genere del romanzo per “giovani adulti” invece lo rende una specie di ibrido agli occhi del lettore più smaliziato, ma sicuramente, ha determinato la possibilità di portare tematiche interessanti tipiche della letteratura di Dick o Bradbury verso un pubblico decisamente più ampio.
Una operazione comunque interessante a mio parere.

E voi lo avete letto?

Cosa ne pensate?

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